The network of relations
The relationship between the city and the port still has its ambiguities: current efforts seek to make the port and the city complement each other with the involvement of the local community, the redesign of the Waterfront, and new services offered to the public.
A DESCRIPTION OF A BOAT
Francesco Sisto, President of the Officina Maremosso Association, describes how a typical boat is made, naming the various parts and explaining how it is possible today to restore a wooden hull in the traditional way.
JONIAN DOLPHIN CONSERVATION
The Ionian Dolphin Conservation Association (JDC) has long been involved in initiatives and projects that aim to promote and enhance the value of the sea as a resource, as well as the provision of tourist services. It also draws on partnerships with other associations and stakeholders in the region that operate in the fields of culture, social welfare, the arts and local development. For years, JDC has been promoting initiatives aimed at raising awareness about sustainability issues and the value of the sea as a resource for all sections of the population, both through its core activity of scientific research and by organising conferences, cultural events and popular activities. JDC's hallmark: the dolphins of the Gulf of Taranto!
THROUGH THE EYES OF OTHERS
During the construction of Open Port, the port of Taranto expanded its boundaries to make room for new, unexpected encounters.
The port is indeed a piece of physical infrastructure, a place of trade, arrivals and departures. But it is also – and above all – the mirror of a certain culture, the product of a rare social phenomenon which, in Taranto, is strongly linked to the identity of those who live in a “seaside town” – which today is pushing towards the dimensions of a “port city”. We are talking about men and women who employ professional skills, establish networks, build families and live their daily lives in the port, sharing values and views. Open Port aims to bring this magical context closer to the many people who, even today, have not had the opportunity to experience the reality of the port up close. In July 2021, the Ionian port welcomed, with great enthusiasm, the proposal of a group of “old friends” – Simona and Deborah Giorgi, Nico and Nelly Danese and Luigi Guida – who wanted to share with Open Port some “family memories”, all linked by a common denominator: the port of Taranto.
What we experienced in the port was a special morning, full of emotions, discoveries and “firsts”, seen in a completely new way, thanks to the involvement of some lively – and also very young! – local groups for their first time in the port of Taranto, which was preparing to welcome the majestic MSC Seaside.
Together, after braving the hot July sun to meet the operators of the Taranto Cruise Port and the AdSP engaged in the disembarkation and embarkation of cruise passengers, port workers and citizens opened the magical treasure chest of family memories of Simona, Deborah, Nico, Nelly and Luigi, giving rise to a spontaneous, unexpected and truly emotionally charged conversation. Open Port aims to bring this magical context closer for the many people who, as yet, have not had the opportunity to experience the reality of the port up close. In July 2021, the Ionian port welcomed, with great enthusiasm, the proposal of a group of “old friends” – Simona and Deborah Giorgi, Nico and Nelly Danese and Luigi Guida – who wanted to share with Open Port some “family memories”, all linked by a common denominator: the port of Taranto.
TARANTO AND THE FALLEN FRONTIER. MEMORIES FROM THE PORT
A Taranto affàcciati al parapetto della Rotonda Marinai d’Italia oppure a qualsiasi balcone che abbia la fortuna di rivolgersi al mare.
Ci sono due orizzonti a contendersi lo sguardo.
L’orizzonte del mare: una linea talvolta netta, talvolta impercettibile da cui si dispiega un cielo sempre cangiante durante il giorno, durante le stagioni.
Poi c’è un orizzonte ancora più familiare ai tarantini: geometrico, metallico, imbullonato allo sfondo azzurro, apparentemente immobile. Uno skyline di gru, impalcature, di container e profili di navi mercantili, di moli e di banchine che si allungano come dita a incastonare pezzi di mare.
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Taranto è città di mare. I tarantini, gente di mare per diritto nascita per lo più; tanti anche per appartenenza a un mondo, una dimensione che è propria delle città che hanno un Porto al posto del cuore e una frontiera a custodirlo, a nasconderlo.
Il Porto è un cuore pulsante e invisibile a Taranto, per diverse generazioni, per molti decenni e per tante ragioni sconosciuto a chi era al di là di quella frontiera, oltre il waterfront, di fatto dall’altro lato di una relazione interrotta. Di qua “Taranto Porto”, coi suoi spazi, il suo territorio, la sua viabilità, le sue dinamiche e il tempo scandito dal flusso di merci e di persone da altri porti, più che dalle lancette di un orologio o dal calendario.
Di là “Taranto Città”, con la sua vita, le sue regole, la sua architettura che esplodono in rivoli di asfalto, cemento e vicende sempre più lontani dal cuore.
Ciascuna identità con una sua propria comunità.
E nel Porto, Taranto ha una comunità folta, sfaccettata, di lunga tradizione marinara e portuale, che la vita gomito a gomito in questa dimensione di avventura, di sacrificio, di amicizia, di condivisione e di fratellanza, ha trasformato in Famiglia.
Quante storie conoscono i gabbiani, quante vite racconta il mare rubate alla quotidianità del Porto.
Una quotidianità fatta di mestieri antichi, di esperienze che provengono dal secolo scorso, trasmesse come un rito di padri in figli, dai capostipiti, nonni e bisnonni che inaugurarono il ‘900 nel commercio del Porto di Taranto con il vino, con l’olio e le mattonelle.
Nello spazio fisico e sentimentale al di qua della dicotomia con la città che gli dà il nome, il Porto custodisce il racconto familiare degli spedizionieri doganali e dei capitani che svolgevano il loro lavoro prezioso per la città e che erano padri e mariti spesso più in confidenza con gli spazi operosi del Porto che con quelli domestici delle proprie case.
Il Porto profumato di salsedine, bagnato dal sole e battuto dal vento, era un po’ casa e un po’ famiglia anche per i figli e le figlie: Simona, Deborah, Nico, Nelly, Luigi… bambini che non si fatica ad immaginare presi a rincorrersi, a nascondersi, ad arrampicarsi e intrufolarsi ovunque in quello che doveva sembrare loro un cortile esclusivo, un parco giochi speciale denominato Porto.
Senza sapere che lì, coi loro padri e loro ancora prima coi nonni e i bisnonni spedizionieri e capitani, sono stati allevati a pane e mare. Lì, in quella grande famiglia hanno imparato per gioco i nomi delle navi che attraccavano, dei paesi da cui provenivano, delle merci che sbarcavano, dei lavori e dei compiti indispensabili che si svolgevano tutti i giorni intorno a loro, tra un nascondino e un girotondo, una merenda e un rimprovero. Lì hanno assimilato le regole ferree intorno alla merce, “regina” che arrivava e partiva, e sempre veniva guardata, toccata, ispezionata, soppesata, custodita, curata.
Quei bambini e quelle bambine, cresciuti nell’ammirazione incondizionata per i loro padri e per il lavoro che svolgevano nel Porto, sono uomini e donne che il mestiere del padre lo hanno ereditato, anzi metabolizzato.
E quando si raccontano, rivelando aneddoti di quel “piccolo grande mondo antico” che abita nel ricordo, lo vedi netto l’orizzonte che, anche senza muri o barriere per lo sguardo, ha segnato a lungo nella storia di Taranto il confine tra due mondi – “dentro il Porto” e “fuori dal Porto”, il “qui” disciplinato del Porto e il “lì” disordinato della città – il confine tra due comunità – quelli che “il Porto è un mondo, vitale, laborioso, affollato di persone, contaminato di culture e di lingue” e tutti gli altri che “il Porto è laggiù, vedi? dove ci sono le navi ferme tra le gru e le impalcature”…
Forse proprio per quel confine vissuto come una cicatrice evidente su Taranto, i bambini e le bambine cresciuti nella grande famiglia del Porto, e diventati professionisti e professioniste come i padri e i nonni e i bisnonni, oggi condividono il ricordo a tratti nostalgico di ciò che è stato e che li ha formati; ma guardano al futuro, sicuri che a Taranto Porto e Città sono dimensioni destinate a confluire sempre più velocemente, finalmente in un’unica Identità.
Katia Trani
OUR SAFE HARBOUR
Proprio lì su quella distesa di cemento abbiamo mosso i nostri primi passi.
Sentivamo chiamarla ``la banchina``.
Ruvida, a tratti ricoperta da ematite rossa.
Come rosse e polverose erano le auto dei nostri padri.
Erano gli anni ‘80 e tutto appariva come una grande giostra dove, a turno, vedevamo attraccare enormi navi di carico e, allo stesso tempo, i nostri giocattoli immaginari prendevano forma portandoci a navigare alla scoperta di nuove ed entusiasmanti avventure.
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Era questo il nostro porto sicuro. Proprio lì dove le nostre barchette di carta si materializzavano quando, di nascosto, rubavamo alcune vecchie bollette doganali dai cassetti delle scrivanie mentre le nostre dita si macchiavano con la carta carbone.
L’aria del porto era ovunque e in ogni momento delle nostre vite.
Tra le pareti di casa, negli abiti che indossavamo, nel nostro linguaggio quotidiano.
La nostra infanzia è trascorsa come in una grande famiglia allargata. I turni di lavoro, spesso così poco programmabili, scombinavano, senza preavviso, le nostre giornate costringendoci, piacevolmente, ad aiutarci nelle faccende di tutti i giorni. Allo stesso modo è trascorsa anche l’adolescenza e a seguire l’età della consapevolezza…
A Natale, quando sognavamo trepidanti di poter trascorrere più tempo con i nostri papà, arrivava una chiamata che li obbligava a raggiungere il porto. “Ci serve una nave, presto!”.
Allungavamo le orecchie, immobili ci guardavamo negli occhi e intenti ad ascoltare meglio quella voce lontana, ovattata e racchiusa in una grigia cornetta di un vecchio telefono con i numeri nel dischetto rotante, pregavamo di non vederli andar via.
Ma, ahinoi, la loro risposta non poteva essere che la solita: “Arrivo subito!”.
Erano loro i nostri capitani e, in fondo, sapevamo che, per tanti di noi, non ci sarebbe stata altra rotta che quella in cui la nostra formazione professionale pian piano si stava concretizzando.
Siamo cresciuti tra containers, bollettini, àncore incagliate sul fondo del mare.
Eppure a scuola quando le maestre ci chiedevano di raccontare la professione dei nostri papà i nostri sguardi iniziavano a fare dei cerchi sul soffitto alla ricerca disperata dei termini più adatti.
Forse erano spedizionieri, forse aiutavano a scaricare le merci dalla nave alla terra ferma…
“Lavorano al porto di Taranto!“, esclamavano pieni di orgoglio. “Incontrano anche capitani che parlano inglese, spagnolo, cinese e… compilano un mucchio di documenti!”, ribattevamo ai nostri compagni mentre, con i colori a matita tra le mani, ci aggingevamo a Colorare le nostre barchette… ovviamente!
Erano Agenti Raccomandatari Marittimi. Ma a noi piaceva immaginarli come i comandanti del nostro porto sicuro che, con grandi chiavi di ferro, aprivano quei cancelli per esplorare un mondo meraviglioso.
Non è mai stata una semplice professione. Bisogna fare esperienza proprio al fianco di uomini come loro che hanno imparato sul campo pagando con gli errori, la salute, il sacrificio. Del loro operato rimane un “Prontuario di Buone Pratiche Marittime” .
Informazioni indispensabili lasciate in eredità da persone che questo lavoro l’hanno indossato come una seconda pelle.
Alcuni di loro sono andati via troppo presto. Chissà… forse per aver inghiottito troppa polvere rossa quando ancora non venivano applicate tutte le buone precauzioni per evitare che mare, terra e aria venissero contaminati con i veleni di quella che, per anni, ha rappresentato, l’unica materia prima protagonista del porto di Taranto.
No, il porto non era solo stoccaggio di minerale, fortunatamente.
Da qualche anno il porto ha integrato una moltitudine di altre figure che operano con passione per dar vita, finalmente, ad un collegamento diretto con la città, in grado di accogliere tarantini e stranieri in una nuova dimensione. L’inizio di un cambiamento radicale, attuale, innovativo, sostenibile al pari di altri porti europei.
Per noi, figli di operatori portuali, sempre e solo il nostro porto sicuro.
Dalle testimonianze di Simona e Deborah, Luca e Nelly Danese. Luigi Guida.
Elaborato scritto a cura di Antonella Coronese